Alfa Romeo Giulietta Spider 1300
Un'autovettura prodotta nel Dicembre del 1959.
L'Alfa Romeo Giulietta Spider è una vettura a due posti commercializzata in Italia tra il 1956 e il 1962. Figlia dell'epoca del boom delle "scoperte" dove Italia, Inghilterra ed in parte Germania erano particolarmente attive, è universalmente riconosciuta come una delle spider esteticamente e tecnicamente più riuscite. Ottime prestazioni, dimensioni e peso ridotti, la Giulietta Spider nella versione "Veloce" ebbe un notevole successo anche nell'ambiente delle gare sportive. Durante l'arco di sette anni furono prodotte circa 14300 Spider e circa 2800 Spider Veloce, suddivise in tre serie: la prima tra il 1955 e il 1959, la seconda dal 1959 al 1961, la terza fino a metà 1962 quando gli subentra la Giulia Spider. Il prezzo di vendita al lancio era fissato in circa 1.900.000 di Lire per il modello d'accesso ed in 2.250.000 per la Spider Veloce. La storia di questa iconica due posti aperta inizia dalla richiesta dell'allora importatore americano che commissionò ad Alfa Romeo la produzione di 600 esemplari di Giulietta su carrozzeria spider. Per la realizzazione vennero interpellati sia Bertone che Pininfarina che avanzarono due interpretazioni molto differenti. Alfa Romeo scelse la proposta di quest'ultimo e nel 1955 furono presentati i prototipi e le pre-serie.
Il suo nome è stato oggetto di varie versioni e aneddoti. Il più curioso racconta che nell'ottobre 1950 una delegazione di otto dirigenti dell'Alfa Romeo fu inviata al Salone dell'automobile di Parigi per la presentazione del nuovo modello "1900". Nel corso di una cena offerta in loro onore dal concessionario francese dell'Alfa Romeo, in un noto ristorante parigino, i dirigenti furono scherzosamente apostrofati da un decaduto principe russo che, per sbarcare il lunario, si esibiva nei locali pubblici inventando filastrocche e poesiole all'indirizzo dei clienti. Quella sera il "poeta burlesco", per canzonare l'atteggiamento austero e compassato degli ospiti d'onore, recitò: «Je vois huit Roméo, mais aucune Juliette!» (Vedo otto Romeo, ma nessuna Giulietta!). L'episodio venne ricordato da alcuni di questi dirigenti nella riunione per decidere il nome commerciale del nuovo modello "tipo 750" e la scelta cadde su "Giulietta", di fatto ispirato da un artista di strada franco-russo. Il nome "Giulietta" venne ripreso dalla casa del biscione per denominare due suoi futuri modelli, rispettivamente del 1977 e 2010.
L’Alfa Romeo, sempre all’avanguardia, costruì negli anni ‘50 il modello Giulietta presentando in maniera piuttosto anomala la versione Coupè ancor prima della consueta Berlina. In un solo nome: “Giulietta Sprint”. Una fantastica autovettura con una linea unica, aerodinamica e al contempo stesso bella, agile, di alto comfort, con un un’adeguata distribuzione delle masse ed un’ottimo rapporto peso-potenza. A seguire vennero presentate la Berlina e le serie speciali disegnate dai migliori carrozzieri dell’epoca riconosciuti in Italia e nel mondo quali l’elegante Spider disegnata da Pininfarina, la SS (Sprint Speciale) disegnata da Bertone e la SZ (Sprint Zagato) disegnata dall’omonima carrozzeria Zagato.
Una delle innovazioni apportate dall’Alfa Romeo con la Giulietta fù un’impianto frenante più efficiente della concorrenza in circolazione: Impianto Girling (di derivazione inglese, tipicamente montato su autovetture di dimensioni e categorie superiori) con l’applicazione di 2 cilindretti per ogni ruota sull’asse anteriore. La peculiarità risiede nell’avere un cilindretto per ganascia, adeguatamente maggiorata, permettendo così una frenata più performante, potente e precisa. Sull’asse posteriore invece, veniva montato un solo cilindretto per ruota ma, mediante l’uso di leveraggi, distribuiva equamente la potenza di frenata sia nella parte superiore che inferiore. Per la parte idraulica, le tubazioni insieme alla pompa freno di dimensioni maggiorate rispetto alla norma, distribuivano adeguatamente l’olio a tutti e 6 i cilindretti. Una pompa freno con gommini e stantuffi di dimensioni maggiori (25mm) permetteva un maggiore apporto di liquido freno.
Nel 1962 con l’evoluzione massima della Giulietta 1300 terza serie e poi la Giulia 1600, venne adottato per un breve periodo, prima dell’uso dei dischi freno, un nuovo impianto che prevedeva 3 cilindretti applicati sui 3 ceppi per ogni ruota sull’asse anteriore, apportando così ancor più efficienza alla frenata.
Lancia Augusta Carrozzeria Ghia
Un'autovettura prodotta nel 1934.
Una vettura erede della Lambda ma chiusa come i nuovi tempi dell'utilizzo quotidiano richiedevano. In Lancia l'erede tecnologica della Lambda si sarebbe voluta sicuramente più grande di motore (una 2 litri probabilmente) e dimensioni (4 metri e mezzo come la Lambda), ma una vettura di questo genere poteva essere pensata solo per l'estero esattamente come lo era stata la Lambda. In Italia ci si doveva rivolgere alla borghesia italiana che tirava la cinghia e girava il tessuto del cappotto della domenica per risparmiare. Una vettura quindi che pur restando rivoluzionaria doveva essere piccola, leggera, economica e di conseguenza costare relativamente poco rispetto alle Lancia prodotte sino a quel giorno. Una vettura di questo genere sarebbe stata sicuramente maneggevole, però doveva far accomodare in modo confortevole una famiglia intera ed andare alla stessa velocità di tutte le altre Lancia. Non era facile ripensare a tutto quello che era stato fatto sino a quel momento e cercare di inventare qualcosa di nuovo, nessuno intendeva dedicarlo alla produzione di massa, tuttavia questo nuovo modello di limitate dimensioni doveva essere una sorta di utilitaria (secondo i canoni del tempo) sia pure d'élite. Ed ecco che sbocciarono idee come le porte ad armadio per un'aumentata accessibilità all'abitacolo, praticamente quasi tutto il fianco vettura si apriva, l'interasse si allungava eliminando ogni deriva anteriore e posteriore, le masse, dal motore agli occupanti, erano tutte "centrali" rispetto agli assi delle ruote, la pelle diventava acciaio e nasceva la prima scocca indeformabile che permetteva di stare su poco più di 800 kg cosa mai vista per una vettura chiusa 4 posti di quasi 4 metri. La vettura è stretta, la si vuole stretta per gli stretti vicoli medievali delle città italiane, dentro con lo sviluppo verticale e con una grande vetratura deve sembrare grande, spaziosa, non deve opprimere i passeggeri posteriori intenti a conversare né deve dare una sensazione di insicurezza a chi guida o a chi sta accanto al conducente. Deve essere silenziosa, non deve vibrare, il motore quasi non si deve sentire quando si viaggia in 4° a velocità di crociera sugli 80 km/h (velocità folle per le nostre statali dell'epoca) e deve pure sopportare ore ed ore a tutto gas sul filo dei 100 km/h (come fu provato nella Coppa d'oro del Littorio- Giro d'Italia di 6000 km da nord a sud, da ovest ad est). Insomma si cercavano qualità antitetiche, un progetto del tutto nuovo e pieno di incognite in un periodo difficile e critico. Su una sola cosa però non si voleva scommettere, ma muoversi coi piedi di piombo, sulla linea che doveva essere piacevole, classica, snella, slanciata, leggera, ma del tutto convenzionale, accessibile a tutti..con la storia del mito dell'aerodinamica erano già nati molti mostriciattoli tra il '30 ed il '33 che poi avevano decretato fallimenti ancor prima di nascere e questo, in quei tempi difficili, non era assolutamente possibile permetterselo. E nacque Vespa anzi Augusta che sorprese tutti, monopolizzò i saloni esteri e nazionali nel '32/'33, fu amatissima dai contemporanei che l'accettarono ed amarono come una nuova persona in famiglia, fu onesta e misurata, tanto modesta quanto generosa, e poi fu dimenticata, le generazioni successive si ricordano le amanti terribili e capricciose quanto cattive, ma si dimenticano le tante mamme oneste d'Italia che si sacrificarono sino all'ultimo senza neppure darlo a vedere. L'Augusta è un po' così: non ha lasciato le glorie sportive dell'Aurelia, né le grandi prodezze dell'Aprilia sua diretta discendente, ma solo tanti ricordi in ogni casa dove è vissuta.
Alfa Romeo 2000 Touring
Un'autovettura prodotta nel 1961.
Nata per sostituire la 1900 Super, l'ultima versione della rivoluzionaria 1900, da cui ereditò gli organi meccanici praticamente immutati, la nuova 2000 berlina (sigla interna 102) viene presentata al pubblico durante il Salone dell'automobile di Torino nel 1957, mentre le consegne iniziano nel giugno dell'anno successivo. Se meccanicamente la 2000 berlina non subisce cambiamenti sostanziali rispetto alla 1900 Super, eccetto che per il passo allungato a 2720 mm, la carrozzeria è completamente nuova e rispecchia la nuova impostazione comoda della vettura, più votata al comfort che alla sportività. Anche il nome prende le distanze dalla progenitrice perché "sale" da 1900 a 2000 senza alcun cambiamento effettivo di cilindrata. Insieme alla 2000 berlina, opera dalla casa, viene presentata anche la nuova Alfa Romeo 2000 Spider, disegnata e costruita dalla carrozzeria Touring.[3] Infatti dopo aver scelto la Pininfarina per produrre la versione cabriolet della 1900 regolarmente messa a listino, l'Alfa Romeo decide di affidare la costruzione della nuova 2000 Spider alla carrozzeria milanese, che in quel periodo si stava trasformando da atelier a vero e proprio costruttore industriale. Nonostante la carrozzeria Touring sia nota per il metodo Superleggera, in cui i pannelli esterni della carrozzeria sono realizzati in alluminio, la 2000 Spider è una moderna vettura monoscocca interamente in acciaio. Questa scelta va inquadrata dall'ottica del contenimento del prezzo rispetto alle precedenti 1900C SS "Superleggere". La 2000 Spider quindi è una classica vettura scoperta due posti basata sull'autotelaio della berlina, da cui eredita sterzo, freni e sospensioni, ma con passo accorciato da 2720 mm a 2500 mm e motore potenziato a 115 CV grazie all'aumento del rapporto di compressione fino a 8,5:1 e all'adozione di due carburatori doppio corpo Solex 40 PHH. Il cambio è sempre a 5 marce ma ha la leva sul tunnel. Grazie a queste modifiche e alla diversa carrozzeria la spider tocca i 170 km/h.
Alfa Romeo Alfetta 1800
Un'autovettura prodotta nel 1983.
Alla fine degli anni sessanta, in Alfa, era evidente che le linee delle 1750 e Giulia - pur longeve - non avrebbero retto l'impatto con le nuove tendenze stilistiche; d'altro canto era necessario introdurre novità che non si allontanassero troppo dai gusti della clientela già fidelizzata. In un primo tempo si decise di rinnovare la 1750 con aggiornamenti estetici ed una nuova motorizzazione più europea che, nel 1971, veniva presentata con la denominazione 2000. Nel contempo si dette anche il via alla realizzazione del progetto 116. Il Centro Stile Alfa, guidato da Giuseppe Scarnati, disegnò così una vettura intermedia tra la 2000 e la Giulia, pronta a sostituire il primo modello che avesse perso troppo terreno sul mercato. Linee tese e spigolose e una particolare attenzione allo spazio interno, per vestire uno schema tradizionale e prestigioso da berlina sportiva, settore in cui le Alfa Romeo, all'epoca, erano considerate all'avanguardia. Occorre anche citare il pur marginale contributo di Giorgetto Giugiaro che, incaricato nel 1968 di progettare la nuova Alfa coupé, stava terminando gli esecutivi di quella che sarebbe poi diventata l'Alfetta GT. Al fine di tranquillizzare la clientela circa l'abbandono dello schema tradizionale per il moderno transaxle, si fece ricorso alla citazione delle glorie sportive Alfa Romeo scegliendo il nome di Alfetta e così ufficializzando il nomignolo con cui i tifosi avevano soprannominato le Alfa Romeo 158 e 159 da Formula 1 che vinsero il campionato mondiale nel 1950 e 1951 con Nino Farina e Juan Manuel Fangio. Il nuovo modello si dimostrò subito di ottimo livello, sia per estetica, sia per prestazioni, ma le polemiche infuriarono ugualmente, dividendo gli alfisti. Infatti, pur guadagnando enormemente in tenuta e stabilità, a causa dei più complessi leveraggi di comando del cambio, l'Alfetta aveva perduto parzialmente la dolcezza d'innesto dei rapporti, rispetto ai modelli precedenti. Parallelamente al nuovo modello, l'azienda decise di lasciare in produzione anche la 2000 e la Giulia fino al 1977, causando - in parte - una serie di fenomeni di parziale concorrenza interna.
Lancia Aurelia B52 Stabilimenti Farina
Un'autovettura prodotta nel 1952.
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Nel 1952, la Lancia monta sugli autotelai Aurelia da fornire ai carrozzieri, il più potente motore da 2 litri di cilindrata già adottato sulla berlina B21. I nuovi autotelai, così equipaggiati, vengono denominati B52 e B53: il B52 sostituisce il B50 ed è l'autotelaio normale, mentre il B53 sostituisce il B51 ed è quello destinato alle carrozzerie più ingombranti e pesanti. Questi autotelai con motore due litri – la cui produzione non raggiunge neppure le 200 unità – vengono utilizzati, come i predecessori, dai più rinomati carrozzieri italiani ed anche da qualche carrozziere estero (quali gli elvetici Beutler e Worblaufen). Su autotelaio B52, Pininfarina costruisce, tra le altre, quasi tutte le famose PF200 (di cui parliamo diffusamente a parte), mentre sono da segnalare il coupé Vignale del 1953 disegnato da Giovanni Michelotti (e costruito in più esemplari anche leggermente diversi tra loro), ed il Ghia-Boano Junior, una coupé uscita in due versioni: la prima, del 1952, piuttosto convenzionale, e la "Boano-Junior 2" dell'anno dopo, che invece suscita sensazione per l'arditezza della linea (del muso in particolare). Da notare che anche quest'ultima "Junior", costruita dalla Ghia, è però frutto del disegno di Felice Mario Boano, uno stilista che in quello stesso 1953, lasciata la Ghia, fonda una propria carrozzeria. L'autotelaio B53 – sul quale Viotti costruisce ancora un paio di giardinette e che altri carrozzieri utilizzano per vetture di grossa mole – viene anche impiegato per un non meglio identificabile "uso militare".
Alfa Romeo Giulietta Sprint
Un'autovettura prodotta nel 1956.
L'Alfa Romeo Giulietta Sprint, in seguito rinominata "Giulia Sprint", è una vettura sportiva prodotta dalla casa automobilistica italiana Alfa Romeo dal 1954 al 1965. La progettazione e sviluppo della coupé era stata portata a termine congiuntamente alla berlina e, nei primi mesi del 1953, il prototipo della futura "Sprint" realizzato da Giuseppe Scarnati, poi divenuto celebre come "brutto anatroccolo", aveva già affrontato brillantemente le prove su strada. Le linee generali erano quindi già impostate e si trattava di affinare la carrozzeria e renderla elegante, nei pochi mesi precedenti all'apertura del Salone. Un primo intoppo si verificò per la mancata disponibilità della carrozzerie Zagato e Touring, la cui potenzialità produttiva era già saturata da altri modelli Alfa Romeo. La Carrozzeria Boneschi presentò una sua proposta, di stampo americaneggiante, che venne scartata. Fu questa la ragione che spinse il responsabile del "progetto Giulietta", Rudolf Hruska, a rispolverare i suoi contatti torinesi e chiedere l'aiuto di Mario Boano, responsabile della Ghia e di Nuccio Bertone. Hruska arruolò anche Giovanni Michelotti, quale consulente Alfa Romeo per la valutazione delle soluzioni stilistiche proposte. All'opera di affinamento, principalmente svolta da Boano, lavorarono anche Franco Scaglione e un giovanissimo Giorgetto Giugiaro. I tre apportarono una miriade di modifiche che, pur mantenendo l'originale impostazione dei volumi, resero la carrozzeria stilisticamente gradevole ed equilibrata in ogni sua parte. Il logo Alfa Romeo e la scritta Sprint sul baule posteriore sopra il portatarga tipico della prima serie, noto come "aeroplanino" Così nasce la Giulietta Sprint presentata come prototipo di pre-serie al Salone dell'automobile di Torino il 19 marzo 1954. In realtà gli esemplari proposti furono due, uno di colore rosso e uno di colore azzurro, diversi tra loro in molti particolari, ma che avevano persino il portellone posteriore apribile, vera novità per l'epoca. Tale soluzione fu poi abbandonata per la produzione in serie, in quanto si temevano infiltrazioni d'acqua, dovute alla scarsa inclinazione della zona lunotto e alla precaria tenuta delle guarnizioni dell'epoca.
Lancia Aurelia B20
Un'autovettura prodotta nel 1952.
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In occasione del Salone dell'automobile di Torino inaugurato il 2 aprile 1951, la Lancia espone per la prima volta al pubblico la B20, una splendida coupé ad alte prestazioni dalla attraente linea “pulita”. Anche se, al momento del lancio, la B20 viene omologata per tre persone (tutte da ospitare sul sedile anteriore unico), si può tranquillamente affermare che questa nuova Aurelia, di fatto, inaugura una formula che riscuoterà un enorme successo nei successivi vent'anni, quella della “gran turismo a 2 posti più 2 di fortuna”. Stando a un'intervista rilasciata anni dopo da Mario Felice Boano, la linea della B20 sarebbe stata da lui stesso ideata mentre collaborava con la carrozzeria Ghia. Secondo questa tesi, la realizzazione del lotto iniziale (un centinaio di esemplari) sarebbe stato affidato da Gianni Lancia alla Ghia, la quale però si sarebbe rivolta alla carrozzeria Viotti (meglio attrezzata per una produzione numericamente un poco più consistente), per costruire materialmente i primi 98 esemplari. Considerato l'immediato successo della B20 e il conseguente elevato ritmo produttivo necessario a soddisfare tutte le richieste, la produzione veniva poi definitivamente affidata alla ancor più attrezzata Pininfarina, che apportava comunque, sin dall'inizio, qualche lieve modifica ad alcuni particolari di carrozzeria. Questa versione dei fatti non è del tutto convincente per almeno due motivi. In primo luogo, dai registri di produzione risulta che Viotti ha effettivamente costruito 98 vetture, ma che non si tratta delle prime 98 bensì di unità “ripartite” lungo tutta la prima serie (compresi tra il B20-1001 ed il B20-1405). Ne consegue che, sin dall'inizio, Pininfarina ha costruito esemplari di B20. Secondo: il progettista dell'Aurelia, Francesco De Virgilio, non ricorda nel modo più assoluto un coinvolgimento di Boano ma, anzi, ha sempre ritenuto che autore della macchina fosse Pininfarina. Secondo alcuni, poi, ci sarebbe anche un terzo motivo per dubitare delle parole del Boano, e cioè che la linea della B20 ricorda molto da vicino quella di altre realizzazioni di Pininfarina dei primi anni del dopoguerra. Questa affermazione è tuttavia solo apparentemente inconfutabile perché è doveroso ricordare che il famoso prototipo Lancia A10 con motore ad 8 cilindri a V della fine degli anni 40 - certamente carrozzato da Ghia - ha una linea che in qualche misura anticipa quella della B20, al punto da rendere quanto meno "possibili" le tesi di Mario Felice Boano. Un'ulteriore "prova fotografica" di una compartecipe paternità Ghia sulla B20 risiede in due immagini (non disponibili) che appaiono alle pagine 176 e 177 del volume "Ghia" di Valerio Moretti (Editore Automobilia, 1991) e che ritraggono due B20 in fase di allestimento all'interno degli stabilimenti Ghia. Irrisolto il dubbio circa la effettiva paternità delle linee della B20, resta il fatto che, dal 1951 al 1958, la produzione è stata nelle mani di Pininfarina, che ha costruito 3773 coupé su un totale di 3871. Ma torniamo alla prima B20 ed alle sue particolarità: ovviamente derivata dalla berlina B10, dalla quale eredita quasi tutte le caratteristiche (dalle sospensioni a quattro ruote indipendenti ai comandi, dal volante al cruscotto) questa coupé “monoscocca” a passo accorciato (266 cm invece di 286) monta però un motore con cilindrata portata sin quasi alla soglia dei due litri (1990,97 cm³ per l'esattezza) erogante 75 HP grazie ad un rapporto di compressione di 8,4:1 (che richiede l'uso del supercarburante). Molto rastremata e di dimensioni contenute (lunga 428 cm e larga cm 154) è, assieme alla quasi contemporanea Alfa 1900 Sprint, una delle più maneggevoli e veloci sportive italiane del momento. Accreditata di una velocità massima di circa 160 km/h (ottenuta grazie anche ad un rapporto al ponte più “lungo” rispetto a quello della berlina) la B20 si afferma immediatamente anche nelle competizioni, come si può agevolmente evincere leggendo l'apposito capitolo. Malgrado un prezzo che non può che essere “consistente” (2.600.000 Lire al debutto), la B20 riscuote un immediato successo commerciale, tanto che, in meno di 1 anno, vengono venduti 500 esemplari.